IL DONO DI HUMBOLDT – Saul Bellow

Il dono di Humboldt - Saul Bellow

I poeti sono amati ma solo perché non sanno stare al mondo. È questa l’amara riflessione di Charlie Citrine, protagonista e voce narrante de Il dono di Humboldt, il romanzo che ha portato Saul Bellow a vincere il Nobel nel 1976 consacrandolo tra i giganti della letteratura del Novecento.

Siamo negli anni Trenta, Von Humboldt Fleisher è un poeta d’avanguardia, il primo della sua generazione, bello grosso, spiritoso e colto, si distingue come critico, saggista, narratore, docente senza cattedra a Princeton, personaggio da salotto letterario, il principe dei conversatori “la sua conversazione era sostanziosa, nutriente”, le sue parole solcano l’universo come la luce, il suo volto è sulle copertine dei giornali più importanti, dal Times al Newsweek.

Negli stessi anni, Charlie è un giovane studente all’Università del Wisconsin, innamorato della letteratura, invidioso del talento e della fama del grande poeta newyorkese. Vuole conoscerlo, gli scrive una lettera. Humboldt gli risponde e lo invita a casa sua. Tra i due nasce una grande amicizia, un patto di reciproca fratellanza che piu avanti verrà suggellato dallo scambio di due assegni in bianco

“li incasseremo solo in caso di necessità”.

“Di lì a un anno ebbi un grosso successo a Broadway e lui andò in banca a incassare il mio assegno. Io l’avevo tradito, diceva: Io, suo fratello di sangue, avevo rotto il nostro patto d’alleanza, tramavo contro di lui, gli avevo messo gli sbirri alle calcagna, l’avevo imbrogliato. Ed era colpa mia se gli avevano messo la camicia di forza e l’avevano rinchiuso a Bellevue. Perciò andavo punito. Andavo multato. E la multa che mi impose fu di seimila settecento sessantatré dollari e cinquantotto centesimi”.

Sei un arrivista, Charlie, ti sei lasciato fregare dal fascino di Broadway, dal successo di cassetta, gli rinfaccia Humboldt. Come può uno scrittore fare così tanti soldi? Ebbene sì,  il denaro li aveva divisi.

Il successo di Humboldt dura poco più di un decennio, alla fine degli anni Quaranta la sua stella già non brilla più “l’ America affarista e tecnologica ama solo i suoi poeti morti. Li ama sì, ma solo purché non sanno stare al mondo. Prova stima ma anche compassione per questi esseri così puri, buoni, onesti, teneri, destinati a soccombere come poveri mentecatti”.

La verità è che la poesia è stata sconfitta dal potere della tecnica “Può una poesia caricarti su a Chicago e sbarcarti a New York dopo due ore? O può eseguire calcoli per un volo spaziale? Non ha tali poteri. E l’interesse è dove è il potere”.

Tormentato dal proprio declino e dalla miseria incombente, il vecchio genio affoga i dispiaceri nell’alcol e negli antidepressivi. In preda alla pazzia e alla gelosia morbosa per la moglie Kathleen, Humboldt viene prima arrestato poi ricoverato in manicomio.

Nel frattempo, Charlie è diventato un commediografo di successo e vince premi prestigiosi. È ricco sfondato, frequenta il jet set: intellettuali come lui, industriali, uomini d’affari, grandi editori, se ne va in giro in elicottero con Bob Kennedy! Ma l’ex pupillo di mr Fleisher non sembra essersi montato la testa: al clamore e alla centralità di una megalopoli come New York continua a preferire la sua Chicago, la città dei vecchi amici e di mafiosi alla Ronald Cantabile – personaggio esilarante, goffo e feroce al tempo stesso, che entra nel romanzo barando in una partita a poker giocata con lo scrittore e altri due compari – Charlie non paga il conto? Ronald reagisce prendendo a bastonate la sua Mercedes nuova e minacciandolo di morte al telefono. Sembra impossibile, eppure da questo momento tra i due nasce uno strano e comicissimo rapporto di collaborazione che va avanti fino alle ultime pagine. Ronald propone all’ingenuo e sprovveduto Charlie affari loschi, si offre addirittura per far fuori Denise, la sua ex moglie che nella causa di divorzio gli sta portando via tutto. Charlie però non demorde e spara le sue ultime cartucce di celebrità e di uomo facoltoso con Renata, una giovane bagascia che per bellezza e sensualità ci ricorda la Ramona di Herzog “quella troia dalle enormi tette” che ora sembra essersi data una calmata pur di accasarsi col noto commediografo.

Nel corso del romanzo la vita di Charlie e quella di Humboldt non smettono di intersecarsi, anche quando i due sono fisicamente distanti. Una mattina, passeggiando per New York, Charlie rivede il grande poeta ridotto a vivere come un clochard, mentre tra due auto parcheggiate sta divorando una ciambella. Vorrebbe avvicinarsi, salutarlo, ma non ne ha il coraggio e perde così l’ultima opportunità per riconciliarsi con il suo amico-nemico. È la scena più emozionante del romanzo.

La morte di Humboldt mi commuoveva più dell’idea della mia”.

Nella mente di Charlie ora si affollano ricordi e rimpianti, riecheggiano le parole sacre che lo avevano nutrito in tutti questi anni: Poesia, Bellezza, Amore, Terra Desolata, Alienazione, Politica, Storia, Inconscio e le bizze di una psiche ballerina “Se l’Energia è gioia e se l’Esuberanza è Bellezza, il Maniaco-Depressivo la sa più lunga di chiunque altro, in fatto di Bellezza e di Gioia” gli diceva sempre Humboldt.

Perché quella mattina non gli ha parlato?

“Dopotutto, Humboldt aveva fatto quel che la cassa America si aspetta che facciano i poeti. Era corso dietro alla rovina e alla morte con più accanimento che non dietro alle donne. Aveva sciupato il suo talento, la salute, e aveva raggiunto il traguardo della tomba rotolando per una china polverosa. Si era scavato da sé la fossa”.

 

Charlie è un uomo infelice, ansioso, divorato dai sensi di colpa. Un depresso. Un melanconico. Non sopporta il successo. Deve districarsi tra una ex moglie, i suoi avvocati, il fisco, e Cantabile che non lo molla mai. Ha paura della povertà, Charlie, e il pensiero della morte non smette di tormentarlo. Pensa e ripensa a Humboldt, ai suoi insegnamenti, alla sua lucida follia. Ricordati che siamo esseri soprannaturali, gli diceva. Quella frase ritorna sempre. Cosa vorrà dire? Con il vecchio genio il conto resta ancora aperto. Sui titoli di coda, una lunga lettera e un misterioso testamento, la curva di un tempo che sembra non finire mai.

Leggendo Il dono di Humboldt – premio Pulitzer 1975 – libro ispirato alla figura di Delmore Schwartz, poeta depresso realmente esistito che aveva aiutato Bellow ai suoi esordi; secondo altri invece la rielaborazione di una storia raccontata a Bellow dal critico de L’Espresso Paolo Milano, suo amico – si ride, si piange, si medita. Il flusso di coscienza è il tratto essenziale di Bellow; i suoi romanzi sono lunghe riflessioni filosofiche sulla vita e la morte, sull’America, sull’inquietudine. Come Herzog e Mr. Sammler, Charlie Citrine vive immerso in mille pensieri: “Renata, Denise, le figlie, avvocati, tribunali, Wall Street, il sonno, la morte, la metafisica, il karma, la presenza dell’universo in noi, il nostro essere presenti nell’universo stesso”, il ricordo di Humboldt “prezioso amico immerso nella notte senza tempo della morte, compagno di un’esistenza anteriore (quasi), beneamato e perduto”.

Il dono di Humboldt è un’opera impressionante per ironia, intensità, senso estetico – un romanzo comico sulla morte, lo definì Bellow – l’atto culminante di una carriera superba e irripetibile.

Angelo Cennamo

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