LA FERROVIA SOTTERRANEA – Colson Whitehead

 

 

La ferrovia sotterranea - Colson Whitehead

 

 

Colson Whithead, scrittore afroamericano di New York, in Italia è pressoché sconosciuto, nonostante la non più giovanissima età e la pubblicazione di ben otto libri tra romanzi e saggi. Nel 2016, Whitehead si è imposto all’attenzione della critica, oltre che dei lettori, con un romanzo premiato sia col Pulitzer che con il National Book Award. Non accadeva da almeno vent’anni che un libro si aggiudicasse entrambi i premi, i più prestigiosi della letteratura Usa. Underground railroad – nella versione italiana La ferrovia sotterranea – è un romanzo avventuroso che affronta i temi che più di ogni altro hanno segnato la storia e la cultura del continente americano: lo schiavismo e il razzismo. E lo fa senza indulgere alla retorica né agli stereotipi di altra narrativa o cinematografia che a questo argomento si sono ispirate per produrre decine di pubblicazioni, film e fiction televisive, da La capanna dello zio Tom a 12 anni schiavo, da Il buio oltre la siepe a Radici, il romanzo di Alex Haley che racconta la saga familiare di Kunta Kinte, poi diventato una fortunata serie tv.

Whitehead colloca la sua storia nel profondo Sud, in Georgia, nei primi anni dell’Ottocento. Cora, la protagonista, è una ragazza di colore prigioniera nella piantagione di cotone dove è nata e cresciuta. E’ una randagia perché è rimasta sola – ha perso la protezione di Mabel, sua madre, scappata chissà dove quando lei era ancora una bambina – e perché per la sua indole ribelle si è attirata l’antipatia e il discredito di molti altri schiavi. La piantagione dei fratelli Randall è un vero e proprio campo di concentramento dove centinaia di uomini, donne e bambini lavorano duramente, in condizioni disumane, per un tozzo di pane e un misero giaciglio. Chi batte la fiacca o, peggio, tenta la fuga, viene preso a frustate e bruciato vivo. Sopravvivere in quell’inferno è una scommessa angosciante che alimenta un solo desiderio: riuscire a guadagnare la libertà. Ma come? Cora è sfinita, non ne può più dei continui soprusi, dei maltrattamenti, delle molestie; decide allora di fuggire insieme al suo amico Caesar. Le è giunta voce che fuori dal campo, oltre la palude, esiste una ferrovia sotterranea che fa tappa in vari stati del Sud. Quella della ferrovia è un’invenzione fantastica dell’autore del libro per indicare una fitta rete di rifugi e di abolizionisti che hanno realmente sacrificato e messo a rischio la propria vita per aiutare gli schiavi scappati dalle piantagioni. Il romanzo diventa così il diario della lunga fuga di Cora, rocambolesca, pericolosa, ostacolata da uno spietato ed infallibile cacciatore di schiavi, Ridgeway, che nel suo prestigioso palmares annovera tanti successi ed una sola sconfitta, bruciante: la mancata cattura di Mabel.

Attraverso la  ferrovia sotterranea Cora raggiunge la Carolina del Sud dove acquista una nuova identità e inizia a lavorare come domestica. E’ convinta di trovarsi nello stato del Sud più illuminato verso il progresso della gente di colore. Ma si sbaglia. Cora non è ancora una donna libera, anzi non lo è per nulla, scopre infatti di essere stata comprata ad un’asta giudiziaria dal governo del paese, che i neri li raggruppa, li addomestica, e li sterilizza secondo una precisa ed inquietante pianificazione demografica.

Nella Carolina del Nord, Cora rimane nascosta per diversi mesi nella soffitta di Martin ed Ethel, due abolizionisti che pagheranno con la vita quella generosa ospitalità. Come Anna Frank e il Pianista del film di Roman Polanski, la fuggiasca scruta il mondo degli uomini liberi, lì a pochi metri dalla casa, attraverso la finestrella del suo nascondiglio. La libertà scorre felice davanti ai suoi occhi, ma Cora non può toccarla, assaporarla, farne parte. Non ancora. Ridgeway, il cacciatore di schiavi, non demorde, è sempre sulle sue tracce, deve rifarsi dopo la beffa di Mabel. Cora è di nuovo in pericolo, la sua fuga è inarrestabile. Dietro di lei ci siamo anche noi lettori, col fiatone, l’apprensione, la paura di essere presi e riportati nella piantagione dei fratelli Randall. Il racconto scorre veloce e ferroso come i treni della ferrovia sotterranea, magica, fiabesca. Cora è una ragazza forte, i lividi inferti sul suo corpo e sulla sua anima l’hanno indurita, resa quasi invincibile. Altri stati e nuovi incontri l’attendono: Royal, l’uomo che la salverà dalla cattura e che la farà innamorare; Valentine, l’etiope mezzo bianco che nella sua fattoria offre lavoro e istruzione ai neri come lei alla disperata ricerca della libertà. Perché fai tutto questo? Gli chiede Cora. Possibile che non capisci? I bianchi non lo faranno mai. Dobbiamo farlo noi, da soli.

Whitehead ha saputo costruire una storia appassionante, commovente, un po’ western un po’ pulp, ricca di colpi di scena e di suggestioni. Il suo libro è una testimonianza lucida, anche se in parte fantasiosa, di una vicenda, la brutalità del razzismo, sempre attuale e ancora irrisolta in molte parti del mondo. Un romanzo, ambizioso, potente, istruttivo, che non si dimentica.

Angelo Cennamo

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