IL GIOVANE HOLDEN – J. D. Salinger

IL GIOVANE HOLDEN - J. D. Salinger

C’è un solo modo per ritornare giovani: rileggere i libri che abbiamo amato quando eravamo giovani. Ero al primo anno di università, o forse al secondo, quando mi capitò per la prima volta tra le mani Il giovane Holden di J. D. Salinger. Lo stava leggendo una ragazza che mi piaceva molto, lo confesso. Attraverso quel libro mi avvicinai alla letteratura americana. Mi avvicinai soprattutto a quella ragazza. Ma questa è un’altra storia. Ritrovare lo stesso libro alla Feltrinelli con la fascetta rossa che indicava la nuova traduzione di Matteo Colombo è stata una piacevole epifania che mi ha riportato a quei giorni spensierati, ai corsi di Diritto Privato, alle felpe colorate, le cinte da paninaro, le corse in moto fino al mare. E a lei, alla ragazza con la quale, dopo aver letto il libro, avrei diviso quasi un terzo della mia vita. Ma questa è un’altra storia. E sono due. Scrivere de Il giovane Holden – circa settanta milioni di copie vendute nel mondo dal 1951 ad oggi, uno dei libri più saccheggiati della storia della letteratura: Lamento di Portnoy di Philip Roth ne è per certi versi il sequel – è a dir poco imbarazzante. Cos’altro potrei aggiungere, io, dopo i fiumi di parole, i trattati, le tavole rotonde, i film, le ricostruzioni televisive, le analisi filologiche, che sono state dedicate a quest’opera quasi unica di Salinger, scrittore ebreo ( un marchio di qualità nella narrativa americana) timido, schivo, fotografato una sola volta fuori da un supermercato da un paparazzo che gli dava la caccia da anni? Partirò dalla fine. Il giovane Holden è un libro di una bellezza sconfinata. Andrebbe letto in tutte le scuole, andrebbe letto e riletto al mare, in montagna, in metropolitana, dai giovani ma anche dagli adulti. Chi dice che è un libro per ragazzi non ne ha compreso fino in fondo il senso e il valore. Perché questo romanzo ha riscosso così tanto successo? Perché è diventato una pietra miliare della letteratura di tutti i tempi? Me lo sono chiesto leggendo ogni singola pagina. La risposta che mi sono dato è la seguente: per la sua leggerezza. Che non è superficialità, ma è planare sulle cose dall’alto, diceva Calvino. La leggerezza che apre le porte allo stupore, perché è dalla quantità di stupore che ci regalano che si misura la bellezza dei libri. Holden Caulfield ci stupisce fino all’ultima pagina, fino all’ultima riga “Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, poi comincia a mancarvi chiunque”. Holden è un adolescente ribelle, malinconico, mezzo matto, le sue divagazioni aprono mondi, allargano orizzonti, ci fanno sognare. Holden è il simbolo dell’eterna giovinezza, di una gioventù che non vorrebbe mai diventare grande, di un’umanità che ha paura di decidere. E’ un tipo stravagante, Holden. Se ne va in giro per New York a chiedere ai tassisti dove vanno a finire le anatre del laghetto di Central Park quando l’acqua si gela. Quando decide di aiutare il compagno di stanza a superare la prova di inglese – l’unica materia scolastica nella quale eccelle – scrive un tema sul guantone di baseball appartenuto al fratello morto. Holden è fatto così. Coglie sempre quello che c’è dietro, i dettagli più marginali delle cose, pensa quello che nessuno penserebbe. Al museo “Potevi andarci centomila volte era sempre tutto uguale, l’unico che cambiava eri tu”. Ma di cosa parla Il giovane Holden? Semplicemente di un ragazzo di sedici anni espulso dalla scuola nei giorni di Natale, che fa di tutto per ritardare l’annuncio di quella brutta notizia ai suoi genitori. Il libro racconta il breve vagabondaggio di Holden prima del suo rientro a casa. Di scene memorabili in questo libro – se siete tra i pochi rimasti a non averlo letto – ne troverete un’infinità. Il dialogo notturno tra Holden e la sorellina Phoebe, la vecchia Phoebe, è sicuramente uno dei momenti di maggiore tenerezza. Ma tu cosa vuoi fare da grande? Chiede la saggia Phoebe al fratello in fuga. E’ la domanda che inchioderebbe chiunque al proprio senso di responsabilità, ma non quella simpatica canaglia di Holden Caulfield “Cosa voglio fare? Ricordi quella poesia di Robert Burns “Se ti viene incontro qualcuno in un campo di segale…” ecco. Immagino tanti bambini in un grande campo di segale e io che li acchiappo per non farli cadere nel precipizio. Lo farei tutto il giorno. Farei l’acchiappabambini del campo di segale”. Chatcher in the rye è il vero titolo – in italiano intraducibile – di questo meraviglioso romanzo.

Angelo Cennamo

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