
Terzo capitolo della serie di Montalbano dopo La forma dell’acqua e Il Cane di terracotta. Due morti violente, forse collegate: quella di un commerciante accoltellato dentro un ascensore e quella di un tunisino ucciso su un motopeschereccio di Mazara del Vallo. E poi una fìmmina seducente, molto seducente, e un simpatico ladruncolo di merendine tra le pieghe di questa storia semplice, con il solito cast di protagonisti: i buoni, i cattivi, gli stupidi, i furbi, i ricatattatori – Camilleri diceva di sé di essere un artigiano della parola, più che uno scrittore un raccontastorie, senza fronzoli o sofisticazioni da accademia. Le trame dei suoi libri sono essenziali, apparentemente disadorne, ma dal sapore e vigore antico. La sua opera è il compendio di una stratificazione spessa, gloriosa, che affonda le radici nel teatro greco, nella narrativa di Verga, Brancati, Pirandello, Bufalino, Sciascia.
L’altra sera, alla Feltrinelli di Salerno, io, Massimiliano Amato, Marcello Ravveduto e gli altri amici del “Porto delle nebbie” abbiamo ricordato il maestro di “Vigàta”, la sua testimonianza civile e politica; il suo genio letterario, l’ironia, l’empatia con milioni di lettori sparsi per il mondo; la sua lingua, sua e di nessun altro. Un mondo favoloso fatto di parole, immagini, umori, sapori. Nei vent’anni o poco più di onesta professione di romanziere, Nenè non si è fatto mancare nulla: devoti appassionati, curiosi dell’ultim’ora, detrattori. Di Camilleri si parlerà a lungo, leggere i suoi libri ci rende migliori.
Angelo Cennamo