In una cittadina del Montana, Delphia, un ragazzo di ventiquattro anni vive da solo in un trailer. Il suo nome è Wendell Newman. Wendell ha perso tutto: il padre, fuggito chissà dove dopo aver ucciso un guardiacaccia; la madre, suicidatasi in macchina con il gas di scarico. La terra che avrebbe potuto essere sua è stata venduta, e quel poco che gli resta oltre il pick-up e la gelida roulotte, sta per finire nelle mani del fisco. Ma per Wendell le soprese non sono finite: un giorno suona alla sua porta un’assistente sociale per affidargli Rowdy, il figlio di sua cugina, ora in galera. Rowdy non parla, ha un ritardo mentale ed è magro come un chiodo. “Nella terra dei lupi” di Joe Wilkins, scrittore dell’Oregon – come Raymond Carver – in Italia più sconosciuto di qualunque altro scrittore sconosciuto – è stato pubblicato negli Usa nel 2019. Il romanzo parte in salita, con un andamento lento, senza sussulti, e con la storia – divisa in paragrafi intitolati con i nomi dei protagonisti – che fatica ad aprirsi a delle svolte decisive. Lo sarà per tutta la prima parte. Il rapporto tra Wendell e Rowdy ne è sicuramente il fulcro, insieme alla fuga di Verl, il padre di Wendell, che è sì invisibile al figlio ma sempre presente nella narrazione attraverso il diario della sua latitanza disperata. Verl è una specie di Rambo inseguito tra le montagne come un branco di lupi. Ed ecco i lupi. Sono loro i migliori attori non protagonisti di questo western 2.0 portato in Italia da Neri Pozza con la traduzione di Norman Gobetti. A Delphia non si parla d’altro che della imminente caccia al lupo, la prima regolamentata in Montana dopo trent’anni. La storia di Wilkins è fluida come la sua scrittura: piana, essenziale, mai una parola di troppo. La cover del libro ne è la migliore rappresentazione grafica. “Nella terra dei lupi” è un romanzo sulla impossibilità di recidere le proprie radici: cosa siamo senza la terra che abbiamo ereditato e senza i nostri padri? È una storia di predestinazione e di incontri salvifici. Violenta, carica di tensione ma nel contempo densa di umanità e di tenerezza. Il ritratto di un’America degradata, ignorante, genuina.
Angelo Cennamo
