SEMBRAVA BELLEZZA – Teresa Ciabatti

La scrittrice famosa, la donna frustrata, la moglie adultera, la madre assente e anaffettiva, e poi ancora l’adolescente sovrappeso sadica, rancorosa, l’amica invidiosa e complessata: dove comincia una vita? “I fatti e le persone di questa storia sono reali. Fasulla è l’età di mia figlia, il luogo di residenza, altro.” Inizia da qui, con la più intima delle confessioni, nella smarginatura di una fiction che si fa memoir, autobiografia simulata o dissimulata che sia: “Il male oscuro” di Berto, “I fatti” di Philip Roth o, se preferite, “Lunar Park” di Bret Easton Ellis. Ma fate attenzione perché “in quel tempo realtà e sogno si confondono, e quello che segue è reale fino a un certo punto…Non sono una persona attendibile.” Dunque? Dunque, caro lettore, non chiederti se quella che leggerai è una storia vera, chiediti se è una storia autentica – oltre la letteratura tutto è finzione, scrive Luca Ricci. “Sembrava bellezza” si portava dietro il peso lusinghiero di due romanzi importanti: “La più amata”, a un passo dal premio Strega, e “Matrigna”. Non so cosa sia passato per la mente di Teresa Ciabatti quando lo ha scritto, ma sono convinto che il desiderio di lasciare lì in alto l’asticella possa anche averle tolto il sonno, perché ripetersi non è mai facile, per nessuno. Quando diciamo di amare uno scrittore, dice Martin Amis, ci riferiamo al massimo alla metà della sua produzione. Vale anche per la Ciabatti? Non si direbbe. Ma stiamo ai fatti. A raccontare la storia, in prima persona e al presente indicativo – e già qui, non so se mi spiego – è una scrittrice senza nome (l’autrice? Forse) “Facendo un esame di coscienza la mia intera vita va letta sotto la luce del desiderio di rivalsa. Ogni rapporto, dentro e fuori casa, ha preso la forma del torto da vendicare.” Tutti i libri di Teresa Ciabatti hanno dentro di sé qualcosa di freudiano, una vocazione all’autoanalisi, questo non fa eccezione. Dopo trent’anni la scrittrice senza nome ritrova Federica, una sua ex compagna di scuola. Affiorano i primi ricordi: il trasferimento a Roma dopo il divorzio dei genitori; il liceo Goffredo Mameli ai Parioli; Livia, sorella maggiore di Federica, cortegiatissima, “alta bionda e figa” come una canzone di Lucio Dalla “i figli dei ricchi sono biondi…anche in mezzo alle cosce”, mentre loro, la futura scrittrice e Federica, sono “figure secondarie”, due adolescenti sovrappeso, complessate, condannate a una gioventù senza sesso né droga né ribellione né anoressia – il traguardo per entrambe era comprare jeans e tshirt da Benetton 0-12 – satelliti di quella venere inarrivabile, figura chiave del romanzo. La storia si muove su due piani temporali – i giorni del liceo e il presente; i piani si intersecano in una beffarda asimmetria che toglie nella giovinezza e restituisce nella vita adulta. Il dramma di Livia, a metà del libro, è un punto di svolta. Con Livia precipitano tutti e tutto. La sua caduta è infinita. Il suo incidente spezza il tempo, Livia lo ricompone, ma è uno specchio rotto. La seconda parte della storia ha un tono accusatorio. Non c’è indulgenza né redenzione ma un ribaltamento effimero che sa di rivincita. L’improbabile clessidra non è la nemesi ma una “catena di strumentalizzazioni” che non ripaga. “Sembrava bellezza” è una storia di rimorsi e di rimpianti, un romanzo sulla memoria, la memoria che ha perduto Livia, la memoria che tormenta la scrittrice senza nome. È soprattutto un atto d’amore, nelle ultime righe capirete il perché. Datemi una frase vera, diceva Gordon Lish ai suoi allievi; questo libro è un agglomerato di frasi vere, vere e potenti. La scrittura di Teresa Ciabatti non è mai vischiosa, ma snella, tagliente e briosa come quella della Fallaci nei suoi libri migliori (Un Uomo, Lettera a un bambino mai nato…), raro esempio di MEVS: minimalismo europeo, virtuoso e sincopato, con sprazzi di metanarrativa – occhio a pagina 164 – che solleticano la curiosità del lettore tenendolo incollato al libro dall’inizio alla fine. Romanzo bellissimo.

Angelo Cennamo

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