UNA RABBIA SEMPLICE – Davide Longo

Ho scoperto l’esistenza di Davide Longo poche ore prima che la Einaudi decidesse di pubblicare nello stesso giorno – 26.01.2021 – tre dei suoi romanzi: “Il caso Bramard”, “Le bestie giovani”, “Una rabbia semplice”. Colpa mia. Colpa mia perché un autore come Longo non può sfuggire a un sedicente lettore attento. Lo sono? Il “caso Longo” lo definisce Einaudi, e nel video di presentazione che circola sui social Alessandro Baricco, tessera numero 1 della Scuola Holden, senza girarci intorno spiega che perfino ad un non appassionato di letteratura gialla come lui questa trilogia ha lasciato pochi dubbi: è una delle cose migliori scritte in Italia. Boom! Non me lo faccio ripetere due volte, entro alla Feltrinelli e mi porto a casa il terzo libro, l’ultimo dei tre seguendo l’ordine cronologico: “Una rabbia semplice.” Che roba è? Un romanzo profondamente italiano con al centro una trama poliziesca. Attenzione, ho detto che la trama poliziesca è al centro ma non riempie tutta la storia. Come nei primi due libri, il protagonista è un commissario di polizia venuto dal Sud. Siamo a Torino. Vincenzo Arcadipane, questo il nome del commissario, non è uno di quei detective cazzuti, atletici, sicuri di sé. Al contrario è un uomo di mezza età, bassino, tarchiato, umanamente fragile, senza un briciolo di autostima, al punto che per digerire il divorzio chiesto dalla moglie Mariangela, si lascia umiliare da una psicologa cattivissima che lo “costringe a prostituirsi in rete.” “Sua moglie è una donna sana, quindi non tornerà con lei nemmeno con una pistola alla tempia”, gli dice. Poverino. Arcadipane è un marito fallito, con una figlia che lo considera un babbeo e un figlio disperso che gioca a calcio; un uomo di scarsa cultura, e va bene, ma sul lavoro sa il fatto suo, un mediano, uno che “gioca a tutto campo, pedala avanti e indietro.” Gli fa da sponda Corso Bramard, il suo ex capo, il mentore ora in pensione, con un brutto male che lo divora. Bramard è l’altro protagonista della serie, il poliziotto aristocratico, il regista delle investigazioni, la mente sopraffina. È a lui che si rivolge il mediano Arcadipane quando c’è un dubbio che lo assale. Nella terza storia, una colombiana viene picchiata fuori da una stazione della metropolitana. La polizia arresta il colpevole dopo poche ore. Tutti gli indizi convergono contro di lui. Caso chiuso, si direbbe, eppure qualcosa non torna. Arcadipane, Bramard e una giovane poliziotta di nome Isa Mancini, trovano una nuova pista, sorprendente, folle. Ho amato questo libro per tante ragioni. Per le atmosfere di un certo Nord, il Piemonte, suggestioni legate alla terra, al fango, al sacrificio; per la malinconia dei personaggi; tutti, uomini e donne – compreso il cane a tre zampe del commissario – sono infelici, insoddisfatti, disillusi, ma umani, molto umani, ed operosi. Per le traiettorie ampie della narrazione che non si lascia imprigionare dallo schema rigido del giallo. La conversazione tra Arcadipane e la psicologa Ariel sulla paura di morire nell’indifferenza degli altri, a quaranta pagine dalla fine, la ricorderò a lungo. Davide Longo è stato accostato a grandi testimoni del nostro Novecento, ad autori come Beppe Fenoglio e Paolo Conte. Io aggiungerei Fruttero e Lucentini. No, non è un’esagerazione, leggendo i suoi libri ve ne renderete conto: Davide Longo è uno dei migliori giallisti italiani di sempre.

Angelo Cennamo

 

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