
Il Vietnam, l’assassinio di JFK e l’attentato alle Torri Gemelle sono gli eventi che hanno scosso di più l’America nella storia moderna. Dopo l’11 settembre le vite dei musulmani americani sono cambiate per sempre. Ayad Akhtar, scrittore e drammaturgo dal nome egiziano, di genitori pakistani ma nato e cresciuto nel Wisconsin è un testimone diretto di questo mutamento. Quasi dieci anni dopo la tragedia del World Trade Center, nel 2013, Akhtar si aggiudicò il Pulitzer con un dramma in cui uno dei personaggi gioisce per l’abbattimento delle Torri. L’argomento ritorna con “Elegie alla patria”, romanzo memoir nel quale si racconta il disagio di un americano che inizia a dubitare nei valori con i quali è cresciuto. Come un forestiero in patria, partendo dall’attentato di New York, Akhtar prova a smontare l’immagine della nazione inclusiva e generosa nella quale si è affermato prima suo padre, immigrato dal Pakistan, noto cardiologo dalle alterne fortune, poi lui stesso, autore che ha costruito il proprio successo sull’anticapitalismo e sul falso mito del sogno “A quel punto la mia decisione era presa: avrei smesso di fingere che mi sentivo americano”.
“Elegie alla patria” è sopratutto questo: la storia di un padre e un figlio che si scontrano sull’idea dell’America. La contrapposizione, spassossissima, sull’ascesa di Donald Trump, vent’anni prima tra i pazienti del dott. Akhtar, riproduce in termini più composti e civili il conflitto dei Levov di “Pastorale Americana”, titolo al quale “Elegie alla patria” sembra fare il verso.
Nella letteratura di Akhtar l’Islam è ciò che rappresenta la religione ebraica nei libri dei fratelli Singer e di Philip Roth.
L’identità, religiosa e politica, è dunque l’altro tema centrale del racconto. Akhtar figlio, pur non essendo un frequentatore di moschee, fatica a conciliare il dogmatismo etico che ispira ogni sua decisione col materialismo del paese nel quale è nato e vissuto. Akhtar padre, invece, è uno spregiudicato arrampicatore sociale e in quel mercantilismo esasperato si sente a proprio agio.
Tutto il romanzo è attraversato dal doppio binario percettivo del vizio e della virtù, della fedeltà e della trasgressione, del sacro e del profano, della cultura di sinistra e di quella di destra; un alternarsi di vicende pubbliche e private che ci raccontano un’America diversa e poco conosciuta.
Angelo Cennamo