ADDIO A PAUL AUSTER

In Baumgartner, il suo ultimo romanzo, uscito pochi mesi fa, aveva raccontato la storia di un professore di filosofia che in un sogno rivede la moglie morta dieci anni prima. La speranza di ritrovarla è così forte che la immagina poco distante da lui, bloccata in una terra di mezzo tra la vita e l’aldilà. Paul Auster è morto questa notte all’età di 77 anni. Malato da tempo di cancro, proprio la moglie ne aveva rivelato la malattia su Instagram, ha fatto in tempo a congedarsi dai suoi lettori con uno dei personaggi migliori, forse quello a lui più somigliante. A Seymour Baumgartner Auster ha delegato i pensieri e le parole ultime sull’assenza, sulla vita che fugge via insieme agli affetti più cari. Paul Auster era originario di Newark, nel New Jersey, città che ha dato i natali anche a Philip Roth e Stephen Crane, protagonista del suo penultimo libro (Ragazzo in fiamme), ma il suo nome è indissolubilmente legato alla Grande Mela. Pochi scrittori hanno raccontato New York come Paul Auster, a cominciare dalla celebre Trilogia, passando per Follie di Brooklyn, fino al più recente 4321. Scrittore postmoderno e votato all’introspezione, Auster ha accarezzato la morte, dell’anima oltre che del corpo, in opere come Diario d’inverno, Nel paese delle ultime cose, L’invenzione della solitudine. Ma il tema essenziale, il più ricorrente della sua vasta produzione letteraria, è il caso che governa le nostre esistenze oltre la volontà e la fede. In romanzi come Sunset Park, Leviatano e 4321, le vite dei personaggi sono perennemente davanti a un bivio, e seguono il loro corso condizionate da circostanze insignificanti. Paul Auster ci lascia a poca distanza da altri due protagonisti della letteratura mondiale: Martin Amis e Cormac McCarthy, come lui filosofi di una narrativa che non si arrende al realismo ma penetra a fondo nei misteri del mondo, scandaglia l’ignoto, i suoi angoli più remoti.

Angelo Cennamo   

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