“Era cresciuto fuggendo dalla realtà e sarebbe stato così per tutta la vita”, così Richard Yates apre Disturbo della quiete pubblica, imprimendo fin dalle prime righe il tono di una narrazione che esplora con spietata lucidità i limiti dell’uomo comune nella società americana del dopoguerra. La frase sintetizza non solo la condizione esistenziale del protagonista, John Wilder, ma diventa una sorta di mantra per l’intera opera di Yates: l’inevitabile fuga dalla realtà come cifra della vita borghese americana, un tentativo vano di sottrarsi alle pressioni sociali e alle proprie incapacità. Wilder, in tal senso, si configura come un perfetto antieroe yatesiano: un uomo ordinario, logorato dall’alcol, da un matrimonio fallito e da una carriera mediocre, oppresso da un costante senso di inadeguatezza che permea ogni scelta e gesto della sua vita quotidiana. La sua mediocrità non è solo individuale: è il sintomo di un’intera classe sociale, quella media americana, osservata da Yates con uno sguardo chirurgico e implacabile, capace di mettere a nudo le contraddizioni e le fratture interiori del sogno americano, svelandone l’illusorietà. Il lavoro di Wilder come venditore di spazi pubblicitari per la rivista American Scientist diventa subito metafora di una vita priva di scopo: ogni giornata si ripete nella monotonia di una routine in cui l’uomo sembra ridotto a una funzione meccanica. Questa riduzione dell’esistenza a mero automatismo richiama da vicino le riflessioni sulla condizione borghese presenti anche in altri autori, penso soprattutto a John Cheever e Philip Roth, che, pur con stili diversi, indagano come Yates la solitudine, l’alienazione e l’illusione di controllo nella vita americana di quegli anni. Ma in Yates il tono è molto più aspro e senza via di fuga. Il conflitto tra l’ideale sociale e la realtà personale si manifesta con estrema crudezza nella scena in cui Wilder chiama la moglie Janice da un bar per confessare le proprie infedeltà e la sua assenza. L’episodio è drammatico e grottescamente comico al tempo stesso, incarnando quel tono di tragicommedia che Yates padroneggia con straordinaria abilità: la vita dei suoi personaggi è una continua oscillazione tra desiderio di riscatto e fallimento inevitabile, tra momenti di grande sincerità e cadute imbarazzanti o autodistruttive. In questo senso, Wilder richiama le figure dei coniugi Wheeler di Revolutionary Road: individui intrappolati in realtà che non li accolgono né li comprendono, costretti a confrontarsi con le proprie incapacità emotive e con un sogno di realizzazione personale che si rivela sempre più sfuggente. La somiglianza non si limita alla dinamica familiare, ma si estende al tema centrale dell’illusione della middle class: entrambi i romanzi delineano la tragicità di vite apparentemente normali, in cui il peso delle convenzioni sociali diventa insostenibile. L’alcol, per Wilder, è contemporaneamente rifugio e condanna: lo stordisce, lo protegge dall’angoscia di una vita sempre in salita, ma allo stesso tempo consuma le sue possibilità di cambiamento. Il suo ricovero al reparto psichiatrico del Bellevue Hospital si configura come microcosmo di caos e sofferenza, un luogo in cui i codici di comportamento si dissolvono e dove l’uomo si confronta con il proprio fallimento in forma cruda e ineludibile. È in questi frangenti che Yates dimostra la sua capacità di modulare registri diversi: la scena è a tratti assurda, a tratti dolorosamente reale, un equilibrio tra comicità nera e psicologia rigorosa. La permanenza in ospedale, più lunga del previsto, diventa metafora di un’esistenza sospesa, in equilibrio instabile tra desiderio di normalità e incapacità di abbracciarla. Le figure femminili nel romanzo riproducono un dualismo ricorrente nell’opera di Yates. Janice incarna ordine, stabilità e quotidianità borghese, mentre Pamela rappresenta seduzione, desiderio di fuga e promessa di evasione, ma anche illusione destinata a infrangersi. La tensione tra queste polarità ricorda le aspirazioni frustrate di April Wheeler e permette a Yates di esplorare il peso delle convenzioni sociali sulla vita singola. In questo senso, il romanzo dialoga implicitamente con altre opere contemporanee che indagano la condizione femminile e le tensioni familiari, dalle vicende di Sylvia Plath a quelle di Joan Didion, storie che evidenziano come le aspettative sociali spesso comprimano l’individuo in ruoli predefiniti e soffocanti. Determinante è anche il contesto storico: la New York e l’America dei primi anni Sessanta, immerse nel boom economico e nella retorica del progresso, sono lo sfondo perfetto per esaltare la facciata borghese e nel contempo nascondere fallimenti, rimpianti e solitudini. L’apparente prosperità diventa così specchio di un’illusione collettiva: l’American Dream è accessibile solo in superficie, mentre nella vita quotidiana si annidano disillusioni silenziose e insoddisfazioni profonde. In questo scenario, la felicità appare come un privilegio fin troppo raro a chi, come Wilder, è incapace di confrontarsi anche con sé stesso.
Angelo Cennamo
Adoro questo scrittore 🫶 bellissima recensione 👏🏻👏🏻
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