LA LUCE DEI GIORNI – Jay McInerney

La luce dei giorni - Jay McInerney

Russell e Corrine Calloway sono una coppia di newyorkesi radical chic prossimi alla mezza età. Lui è un editore indipendente di alto profilo ma sempre sull’orlo del fallimento; lei una sceneggiatrice impegnata nel sociale. Il loro matrimonio, come quello di tanti altri, vive di alti e bassi, ancorato ad un senso di complicità apparentemente inossidabile ma logorato da tradimenti reciproci. Dei due, la più infedele è certamente Corrine, che fin dai tempi dell’università si lascia sedurre da un aspirante scrittore, il miglior amico di suo marito. Ma è in età adulta che si consuma il più lacerante dei triangoli amorosi. L’altro è un imprenditore di successo, sposato in seconde nozze con una venticinquenne mozzafiato per quanto sia rimasto innamorato – dice lui – della più attempata sceneggiatrice conosciuta nei giorni drammatici del post 11 settembre.

È questo il perimetro nel quale Jay McInerney fa muovere i personaggi del suo libro – “La luce dei giorni” – terzo capitolo di una serie cominciata negli anni Novanta con un altro romanzo cult  “Si spengono le luci” e proseguita con “Good life”. McInerney pone al centro della sua storia il tema del tradimento – fisico, sessuale e sentimentale – dei protagonisti, al quale però se ne aggiunge un secondo, non meno interessante del primo; simbolico, culturale, che investe più in generale la società di New York, ovvero la contrapposizione tra la città dell’Arte e dell’Amore – quella incarnata da Russell – e la città del Denaro e del Successo -rappresentata da Luke, l’amante di sua moglie. Nel racconto di McInerney c’è una New York che cambia pelle: la metropoli degli anni Ottanta, alcova di artisti drogati e affamati di successo, poco alla volta cede il passo al mondo dell’alta finanza e della speculazione. I due volti di Manhattan sono le due facce del sentimento che turba Corrine, descritta dall’autore come una donna fragile, insicura, istigata alla devianza da colleghe ed amiche, eternamente sospesa tra il sogno-ricordo di un ideale fuori moda e il fascino della ricchezza più debordante, indecente, insulsa sì ma capace di sedurre perfino un’integralista come lei.

Ne “La luce dei giorni” ritroviamo le tracce di almeno altri cinque grandi romanzi americani, ne dico un paio: “Libertà” di Jonathan Franzen, “Americana” di Don DeLillo. Ma McInerney non deraglia di certo nel copia-incolla. Appassionante, ben scritto: lo spaccato verosimile di una borghesia frustrata, delusa, impoverita dalla crisi degli anni Duemila.

Angelo Cennamo

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