QUELLI CHE PENSAVAMO DI CONOSCERE -David Joy

L’America non è mai stata innocente. Ricordate l’incipit di American Tabloid? Sylva è una cittadina di poche migliaia di anime nella contea di Jackson, North Carolina. Uno di quei centri urbani fatto di palazzi a due piani in mattoni verniciati, tagliato in due da una lunga strada, Main Street, che si interrompe proprio davanti a quel palazzo di Giustizia che l’editore Jimenez ha riprodotto fedelmente sulla cover di Quelli che pensavamo di conoscere, l’ultimo romanzo di David Joy. A Sylva si conoscono tutti, e il tempo sembra scorrere più lento che altrove. Lo sa bene Toya Gardner, la giovane artista nera di Atlanta venuta dalla nonna per compiere delle ricerche all’università e completare la sua tesi di laurea. Toya è una ragazza caparbia, idealista, tanto che la scoperta di un monumento confederato nel centro della città la spinge a una reazione forte e inaspettata. La vicenda di Toya si alterna a quella dell’arresto di un vagabondo sospettato di appartenere al Ku Kus Klan e nella cui station wagon viene ritrovato un taccuino con una lista di nomi altisonanti. Tra Toya e Willian Dean Cawthorn, questo il nome del vagabondo originario del Mississippi, c’è lo sceriffo Coggins, il personaggio intorno al quale ruota tutta la storia del romanzo, magnificamente orchestrata da Joy (scrittore quarantenne anche lui del North Carolina, già vincitore del Dashiell Hammett Prize con Queste Montagne, pubblicato in Italia nel 2022 sempre da Jimenez). Coggins è un uomo di legge ma in una piccola provincia come Sylva un tutore dell’ordine finisce sempre per avere dei legami familiari o di profonda amicizia con la gente del posto, e per Vess, la nonna materna di Toya, Coggins ha un affetto speciale essendo la vedova del suo miglior amico. Il rapporto di stima e di rispetto reciproco tra lo sceriffo bianco e l’anziana donna di colore, uno dei temi centrali del libro, travalica stereotipi e diffidenze, ma ora, con la presenza in città di Toya, rischia di incrinarsi pericolosamente. L’attivismo della nipote di Vess, innescato da alcune scoperte che riguardano gli antenati non solo della sua famiglia ma dell’intera comunità, comincia infatti ad avvelenare il clima di calma apparente e di tregua che a Sylva si respirava fino al giorno prima del suo arrivo, e a squarciare quel velo di ipocrisia che per tre generazioni aveva celato abusi e discriminazioni. 

Esiste un razzismo poco visibile, sottile, fatto di piccoli dettagli che i bianchi neppure colgono. Non c’è giustizia né gloria nella storia di Sylva e dell’intera nazione. Quelli che pensavamo di conoscere è una presa di coscienza collettiva, una vicenda di segreti inconfessabili e di un passato sepolto con cui l’America non ha ancora smesso di fare i conti. Uno spietato e sanguinoso redde rationem che non risparmia nessuno. 

Angelo Cennamo

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