“Cammino nel buio prematuro di Milano“
Un uomo sposato e una ragazzina si incontrano nella metropolitana di Milano. In superficie la città marcia verso il Natale con i suoi riti noiosi, stereotipati: i regali, le lucine degli alberi, il cibo preparato dai parenti, i saluti dei passanti che diventano più cordiali e più fasulli. Il sottosuolo si affolla di viaggiatori distratti, frettolosi, un groviglio di corpi che si muovono come un’onda indistinguibile. L’uomo si lascia attraversare dall’onda e da un’indicibile frenesia sessuale che lo spinge sul bordo dell’abisso. Sfiora, tocca, inala odori e sbuffi. In mezzo all’onda c’è lei, la studentessa di odontoiatria, Martina, il suo antidoto al Natale di Milano. Gli sguardi si incrociano, riconoscono le rispettive sofferenze. Martina si abbandona alla libidine dell’uomo, a quel gioco perverso fatto di palpeggiamenti, si lascia accarezzare, ovunque, nell’indifferenza della folla, che in quegli attimi smette di esistere. I due fanno conoscenza. Ad una appuntamento al bar per un aperitivo, un altro dei riti vuoti e imbecilli, Martina lo presenta ai suoi amici come “l’uomo della metropolitana” – “l’uomo” – quasi a voler marcare la differenza di età, la sua intrusione, il suo essere fuori posto. In superficie è diverso, l’uomo è sposato, ha una figlia, una vita regolare, ordinata, apparentemente composta. La loro relazione, goffa, improbabile, non si addice alle convenzioni della città reale, al chiarore del giorno, alla pallida luce di dicembre. E’ la metropolitana la giusta dimensione, è lì che il gioco prende corpo e prende i corpi, si accende la fantasia, la libertà divampa nella passione, tutto diventa lecito. In mezzo all’onda della folla si annullano le convenzioni, non c’è passato né futuro. In quel budello buio, infernale, sul binario della trasgressione, il Natale perde la sua forza manipolatrice e moralizzatrice.
Luca Ricci affronta con coraggio i temi più scivolosi: la fine di un amore, la solitudine, l’indifferenza, il tormento interiore, e lo fa col talento del pioniere, dando cioè l’impressione al lettore che nessuno ne abbia scritto prima di lui. Il protagonista di Trascurate Milano non è poi così diverso dallo scrittore annoiato de Gli autunnali, ma lui oltrepassa il limite dell’immaginazione, il suo tradimento è fatto di nuova carne, è reale. La stessa ossessione che si impossessa dell’architetto Dorigo in Un amore di Dino Buzzati, o di Mickey Sabbath, il personaggio di Philip Roth tormentato dai fantasmi del passato che affoga la propria infelicità nella lussuria e nella sregolatezza.
Ho già detto e scritto in altre occasioni che Luca Ricci è il Moravia del XXI secolo, un rinnovato esistenzialista, agile e caparbio nell’introspezione, dotato di una scrittura potente, misurata, mai vischiosa, moderna. Con Trascurate Milano Ricci ha scritto il sessantunesimo racconto di Buzzati, il più bello.
Angelo Cennamo