DOVE LA STORIA FINISCE – Alessandro Piperno

 

Dove la storia finisce

 

Dopo sedici anni di esilio in California, Matteo Zevi è su un aereo che lo sta riportando in Italia. Da un giorno all’altro Zevi aveva abbandonato moglie e figli per fuggire dai debiti e forse da un killer, ora dato per morto. Il vuoto lasciato da quella partenza così vile ed improvvisa era stato colmato dalla benevolenza di Tati, l’amico facoltoso, il generoso supplente, sempre pronto a farsi carico dei problemi di sua moglie Federica e dei due figli: Giorgio e Martina, avuti da due matrimoni diversi, che aggiunti agli altri due americani, fanno quattro. Il ritorno del fuggitivo tuttavia non sembra destare entusiasmo nella famiglia Zevi; durante l’assenza di Matteo, infatti, ciascuno è riuscito a trovare il proprio equilibrio: Martina ha sposato il rampollo di un noto barone universitario; Giorgio ha messo su un ristorante e sta per avere un figlio dalla compagna Sara. Solo Federica in tutti questi anni non ha smesso di attenderlo. Perché non ha divorziato? E’ la domanda che tutti le rivolgono, a cominciare da suo padre, ex giudice della Consulta, che quel poligamo fallito di Zevi non lo ha mai potuto vedere. La risposta di Federica arriva a due terzi del libro, lapidaria: “Meglio amare l’uomo sbagliato per tutta la vita che non amare nessuno”. Dove la storia finisce, quarto romanzo di Alessandro Piperno – pubblicato nel 2016 da Mondadori – è lo spaccato farsesco di una famiglia ebrea, molto borghese, chiamata a fare i conti con un passato vissuto tra inganni e incomprensioni. Alla storia del padre che ritorna, il quasi assente protagonista, Piperno aggiunge altre trame che vanno a rimpolpare un racconto che altrimenti sarebbe scarno e privo di mordente: la vicenda di Martina, ventiquattrenne lesbica e alcolizzata che sposa il fratello della sua amica intimissima, Benedetta; la stoica vedovanza di Federica, cinquantenne ancora briosa ed affascinante “consapevole di rappresentare per vedovi e divorziati un ripiego accettabile alle trentenni vagheggiate e sempre meno disponibili”; le angosce di Giorgio, figlio di primo letto di Matteo, che del padre non vuole più saperne da quel giorno di sedici anni fa, quando a scuola fu avvisato con una telefonata della sua partenza improvvisa. La storia raccontata da Piperno finisce con una rocambolesca rimpatriata natalizia, proprio nel ristorante di Giorgio, dove tutti i protagonisti saranno costretti a mettere da parte rancori ed ipocrisie, a mostrare il loro vero volto. E’ il finale pirotecnico che riscatta in extremis un romanzo scritto magnificamente ma ricco di déjà vu – il redde rationem atteso dall’inizio della storia e giunto nell’ultimo capitolo somiglia molto alla cena natalizia della famiglia Lambert ne Le Correzioni di Jonathan Franzen – e di stereotipi dai quali Piperno non riesce proprio a liberarsi: i tic e le nevrosi della buona borghesia ebrea, sempre spocchiosa e griffata, la stessa dei libri precedenti; i conflitti familiari che degenerano in disastri finanziari o giudiziari. Il quadro sociologico di un’Italia che sopravvive perlopiù nei film di Vanzina, o dell’America che ritroviamo nei libri di Saul Bellow e Philip Roth. Piperno è un autore colto, e se i suoi studi, le sue buone letture hanno fatto di lui un abile romanziere, da un altro lato lo hanno imprigionato in un cliché letterario che sembra autoperpetuarsi all’infinito. L’unica pecca di un talento che resta comunque cristallino e indiscutibile.

Angelo Cennamo                                   

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