Penso che il destino di un libro sia legato anche al suo titolo. I titoli sono importanti. Pastorale americana sarebbe diventato il romanzo cult che conosciamo se Roth lo avesse intitolato Le disavventure della famiglia Levov o che so La figlia ribelle? Non credo. Luca Ricci deve averlo capito: titoli come L’amore ed altre forme d’odio, La persecuzione del rigorista, Gli autunnali, Trascurate Milano sono una subdola istigazione all’acquisto. Non fa eccezione I difetti fondamentali, uscito nel 2017, il libro che ha aperto il varco alla popolarità dell’autore pisano, consacratosi pochi mesi più tardi con il romanzo d’esordio Gli autunnali.
I Difetti fondamentali è una raccolta di quattordici storie di scrittori raccontate partendo dai difetti, perché il più delle volte sono proprio quelli a delineare la personalità di chi scrive. I protagonisti ci appaiono come dei disadattati, degli alieni incompresi, uomini e donne confusi, alle prese con una quotidianità nella quale non sembrano trovare posto né considerazione. Prendete uno scrittore. Cosa fa? Qual è il suo ruolo? Ricci si interroga sul senso di una vita spesa a scrivere ore ed ore, giorno dopo giorno, e su quale sia la migliore collocazione anche fisica per un romanziere: l’isolamento allontana dalla realtà, ma stando in mezzo agli altri si rischia di sconfinare nel documentarismo, si riducono gli spazi dell’immaginazione, la fiction perde quota. Soprattutto, è ancora utile studiare Lettere in un Paese che non investe più un euro nella cultura e che non legge? Ezio, uno dei personaggi de “Il velleitario”, suggerisce al suo giovane amico di lasciare gli studi; i grandi scrittori, gli dice, traggono esperienza dalla strada, si sporcano le mani con lavori umili. Lui fa il barista, e forse il romanzo che ha sempre sognato, immaginato, prima o poi riuscirà a finirlo. Ma vivere alla sua maniera non è forse già come averlo scritto? Le storie di Ricci sono uguali e diverse, spesso hanno come sfondo una Roma sonnolenta, distratta, la città decadente dei premi letterari e delle terrazze radical chic che abbiamo visto nel film di Sorrentino, La grande bellezza. La città eterna perché eternamente sospesa in un tempo indefinito ed indefinibile, tra eccitazione e delusione, desiderio e disincanto.
I difetti fondamentali è un atto d’amore, il generoso tributo ad un mestiere che somiglia a un sogno e che regala sogni, un libro amaro e commovente che evoca le atmosfere di grandi autori del passato: Buzzati, Flaiano, Moravia, Tommaso Landolfi. Ricci è bravo a coniugare l’alto con il basso, la tradizione del Novecento con la modernità. La sua scrittura è misurata, minimalista quanto basta, ironica, raffinata ma mai esibita “L’arte del racconto al suo meglio”.
Angelo Cennamo