“Difficile dire dove finisca questa storia o come sia cominciata, perché una delle cose che alla fine imparerete è che il concetto di linearità non esiste. Esiste solo questo sogno collettivo scatenato, incasinato, incendiario in cui nasciamo, viaggiamo e moriamo tutti.”
Di cenni biografici su Stephen Markley ce ne sono pochi; di lui sappiamo che vive in California, ha frequentato l’Iowa Writers’ Workshop, uno dei più quotati programmi di scrittura creativa degli Stati Uniti, e che il suo primo romanzo si intitola “Ohio”, pubblicato in Italia da Einaudi con la traduzione di Cristiana Mennella. Quello di Markley è un esordio che fa discutere: voci e recensioni intorno a questo libro si moltiplicano, e il clamore dei media ci riporta ai casi recenti di Garth Risk Hallberg, Philipp Meyer e Salvatore Scibona, tanto per citare alcuni esempi tra le nuove leve della letteratura yankee. I titoli dei giornali che contano sono roboanti, dal New York Times Reviews al Wall Street Journal, ma con quelli si fa presto a gridare al Grande Romanzo Americano. È il caso di Stephen Markley? Di cosa parliamo quando parliamo di “Ohio”? Il romanzo racconta di quattro ex compagni di liceo che si ritrovano una notte d’estate nella città che hanno lasciato molti anni prima. L’incipit è un lungo piano sequenza del corteo funebre in onore del caporale Rick Brinklan, caduto in battaglia in Iraq. Un pick-up attraversa il centro di New Canaan, un posto dimenticato da Dio ma tra le poche cittadine sopravvissute alla deindustrializzazione di quel tempo. Sopra il pick-up c’è il feretro del soldato ucciso, ma la bara è vuota. Sono immagini potenti che evocano altre narrazioni, della carta stampata e del cinema.
“Rispetto alla nostra storia, la parata è importante non per le persone che vi parteciparono ma per le persone assenti quel giorno“.
Le persone assenti sono i quattro protagonisti del racconto: Bill Ashcraft, Porno Tina, Stacey Moore e Dan Eaton. Ognuno di loro è assente per ragioni personali, ma un giorno quei ragazzi si rincontreranno: esattamente dieci anni dopo il diploma. Markley struttura il romanzo in quattro blocchi più un quinto finale; quattro storie interconnesse, con andirivieni temporali che si susseguono senza linea di demarcazione. Gli anni della scuola, gli anni della vita adulta. Al liceo, Bill è un militante di sinistra, un borghese che sogna di invertire le dinamiche del post 11 Settembre col dialogo e il rispetto delle diversità. A fargli da controcanto è l’amico e rivale Rick, che invece incarna il volto più feroce delle politiche interventiste di Bush. Entrambi hanno messo gli occhi sulla stessa ragazza, Kaylyn. Prima di partire per l‘Iraq, Rick le aveva chiesto invano di sposarlo. Oggi Kay è una donna sull’orlo di un abisso: aspetta un figlio, non ha un lavoro e per ripagare un grosso debito decide di contattare il suo ex amore Bill e coinvolgerlo in una missione molto rischiosa. Stacey Moore è una studentessa di lettere che fatica a coniugare la fede cristiana con la propria omosessualità. I capitoli dedicati a lei e al reduce Dan Eaton sono nella parte centrale, la meno riuscita del libro, che però riprende tono e vivacità nelle pagine dedicate a Tina, la studentessa più ambita tra i maschi del liceo. Tina si innamora perdutamente di un bullo che la trascinerà in un incubo senza fine e che darà una venatura thriller al romanzo. I ragazzi speranzosi di Markley oggi sono degli sconfitti, degli emarginati; “Ohio” sarebbe piaciuto molto a uno scrittore come Richard Yates, autore di storie disturbanti come le quattro che compongono questo romanzo, bello e imperfetto. Leggendolo mi sono ricordato di “Shotgun lovesongs” di Nickolas Butler. Pur trattandosi di trame diverse, come Markley Butler nel suo libro fa incontrare e rivaleggiare dei vecchi amici nel Midwest rurale e suprematista, tra fantasmi del passato e ambizioni tradite. Markley è un Butler più capace – ha più talento e più registri narrativi – ed è anche più scaltro del ragazzotto della Pennsylvania a declinare la propria indole di contract author. “Ohio” strizza l’occhio ad un target preciso di lettori e talvolta lo fa con un eccesso di retorica. A scrivere il Grande Romanzo Americano Markley ci ha provato, ma in parte ha fallito. “Ohio” è un bel libro, a tratti bellissimo, non lo definirei però un capolavoro.
Angelo Cennamo
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