SE SCORRE IL SANGUE – Stephen King

Il piccolo Craig riceve sul suo iPhone sms dall’aldilà. In una California devastata da terremoti e senza connessione a internet, sulle facciate dei palazzi appare il volto di un contabile sconosciuto: Chuck Krantz, morto a soli trentanove anni con un tumore al cervello. In una scuola esplode una bomba che uccide decine di bambini. Il tempismo dell’inviato che per primo arriva sul luogo della strage e ne dà la notizia, desta più di un sospetto. Drew Larson è uno scrittore in crisi che ritrova l’ispirazione per il suo nuovo romanzo in una baita di montagna. Qui, tra sogno e realtà, stringe un patto faustiano con uno strano roditore. Sono queste le tracce dei quattro racconti lunghi o, se preferite, quattro romanzi brevi contenuti in “Se scorre il sangue”, ennesimo titolo ambiguo, fuorviante, che vorrebbe inglobare Stephen King nella casella editoriale che non gli è mai appartenuta, quella del genere horror. “Se scorre il sangue”, che è il titolo anche della terza storia, la più lungo delle quattro, sta per: “Se scorre il sangue, si vende di più”. King punta il dito contro la televisione del dolore, i media che mercificano i sentimenti e speculano sulle tragedie umane. In questo romanzo – preferisco definirli romanzi – che è una specie di sequel di “The outsider”, ritroviamo Holly Gibney, uno dei personaggi ai quali King è più affezionato, probabilmente più di quanto lo siano gli stessi lettori. Il risultato non è eccellente come per gli altri tre: l’operazione di trascinare pezzi di racconti in altre trame, costringendo il lettore ad uno sforzo mnemonico ulteriore per ricostruire, collegare fatti e protagonisti, sconfina in una disturbante autoreferenzialità. Peccato perché “Se scorre il sangue” è un libro magnifico, il miglior concentrato della narrativa kinghiana, la sua essenza: se non avete mai letto nulla di Stephen King e vi va di conoscerlo, potete cominciare proprio da questa antologia. La traduzione è di Luca Briasco.

Angelo Cennamo

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Una risposta a "SE SCORRE IL SANGUE – Stephen King"

  1. Anche io ho preferito di meno il racconto “portatitolo”, ma siamo in pochi sai? Mi fa piacere la mia non sia l’unica voce fuori dal coro.
    Sarà che odio la serialità, che piano piano sta prendendo piede ovunque, ora anche in letteratura. Certo, richiede molto meno sforzo cognitivo (sia per il creatore che per il fruitore), però ammazza qualsiasi attività cerebrale…

    "Mi piace"

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