Un resoconto su Wolfsegg. Un resoconto che estingua Wolfsegg e il suo ricordo; questo è “Estinzione”, l’ultimo romanzo, il testamento di Thomas Bernhard, autore austriaco che ha cavalcato il Novecento seminandolo di opere superbe e di indubbio valore come “Perturbamento”, “Antichi maestri”, “Il soccombente”, “Camminare”, in Italia tutte edite da Adelphi.
Franz Josef Murau, più che un intellettuale austriaco, è un uomo gettato nel mondo, come scrive Pietro Citati sulla quarta di copertina. Il suo allievo, coprotagonista del libro ma silente, invisibile per tutte le sue 493 pagine, è il giovane Gambetti. A Gambetti Murau insegna letteratura tedesca, o per meglio dire: letteratura di lingua tedesca. La lingua, eccolo dunque il primo spunto di questa lunghissima dissertazione sul piccolo mondo antico di Wolfsegg, roccaforte dell’ottusità di una nazione ottusa: l’Austria. Il tedesco è una lingua faticosa, poco musicale, che svilisce il pensiero e la bellezza di ciò che esprime, concetto sul quale Bernhard ritorna spesso. Il romanzo, dalla struttura anomala – un flusso di coscienza ininterrotto, senza paragrafi né capitoli, solo due parti intitolate: Il telegramma, la prima, Il testamento la seconda – comincia con la notizia della morte dei genitori e del fratello maggiore della voce narrante a seguito di un incidente stradale. Una simile notizia farebbe rabbrividire chiunque ma non il quarantottenne Murau, oggi trasferitosi a Piazza della Minerva, Roma. È qui che il nostro intellettuale ha trovato casa, è qui che Murau ha messo nuove radici dopo essere scappato da una famiglia di persone squallide, grette, odiose, che hanno provato in ogni modo a soffocare le sue ambizioni, la sua sete di conoscenza per trattenerlo nel feudo nativo “La domanda se avessi amato i miei genitori e mio fratello, che avevo subito respinto con la parola naturalmente, rimase non solo nella sostanza, ma anche di fatto senza risposta”. Murau è un uomo segnato da una giovinezza infelice; il suo sfogo incessante, doloroso, mi ha ricordato il vomito, la logorrea di Giuseppe Berto ne “Il male oscuro”, la biografia vera o verosimile che lo scrittore veneto scrisse in poco meno di un mese nell’improvvisato eremo di Tropea per dare voce alla sue ossessioni. Murau ne ha per tutti: la madre – scaltra, anaffettiva, superficiale; amante più o meno segreta dell’arcivescovo Spadolini; il padre – uomo buono ma succubo della moglie; le sorelle Amalia e Caecilia – acide, bigotte, stupide; il fratello Johannes, il figlio prediletto, il primogenito; lo zio Georg, colto, raffinato, l’unico a salvarsi in quella setta di primitivi occupati unicamente ad amministrare denaro e bestiame. Ma “Estinzione” è anche una riflessione più in generale sulla vita pubblica e la storia europea alla quale si intrecciano le vicende familiari di Murau. Wolfsegg diventa allora lo spaccato di un’Austria refrattaria alla modernità e al progresso, affascinata dal nazionalsocialismo e plasmata dall’ortodossia cattolica. La fuga, prima di zio Georg, poi del figlio eretico; il ritorno in occasione del funerale dei parenti. Raccontare per ricordare. Ricordare per annientare. Capolavoro.
Angelo Cennamo