
Non si può separare Louise Erdrich, la donna, la scrittrice, la poetessa – premio Pulitzer nel 2021 con “Il guardiano notturno” – dalle radici, fortissime, che la legano alla Turtle Mountain Band of Chippewa Indians, la tribù degli Ojibwa dalla quale proviene la sua famiglia e che fa da sfondo a tutte le storie dei suoi libri, da “Il giorno dei colombi” a “La casa tonda”. È, come si dice, una mission, che la Erdrich si porta dietro da sempre, con alterne fortune ma che le conferisce un’identità precisa, inconfondibile, nel variegato panorama della letteratura americana. Louise Erdrich è un’icona della cultura pellerossa. È quella cosa lì.
“L’anno che bruciammo i fantasmi”, che io chiamerò “The Sentence” come nella versione originale (ricordate la questione di “Beloved” di Toni Morrison che qui da noi è diventato “Amatissima”?), è uscito nello stesso anno dell’affermazione al Pulitzer. Da qualche giorno Feltrinelli lo ha portato in Italia con la traduzione di Andrea Buzzi. Nonostante la solita patina culturale (solita nel senso di tipica), il romanzo si discosta dai precedenti per una curiosa matrice noir presente nella parte iniziale, e per la decisa impronta di attualità riferita a due eventi drammatici avvenuti negli ultimi anni: l’assassinio di George Floyd, che nella testimonianza della Erdrich riproduce la stessa violenza subita dagli indiani, e la pandemia da covid. Tutto accade in una cittadina del Minnesota. All’inizio della storia Tookie è una ragazza innamorata e abbastanza ingenua: un favore ben retribuito le costa inizialmente una condanna a sessant’anni di carcere. Dopo i primi capitoli, il romanzo switcha dal poliziesco e prende un’altra direzione. Tookie oggi è una donna di mezza età, sposata con il poliziotto che l’aveva arrestata per quella brutta faccenda, e lavora in una libreria indipendente. Non è un caso: la rinascita di Tookie è passata attraverso la lettura e sono proprio i libri di Tookie (nelle ultime pagine elencati in una specie di lista di consigli per gli acquisti) a dare forma e sostanza al romanzo “I libri contengono tutto ciò che vale la pena di sapere tranne ciò che conta davvero”. “The Sentence” è fondamentalmente un libro che parla di altri libri. Mille le citazioni, i titoli, suggerimenti, interlocuzioni con i clienti del negozio, tra i quali il fantasma di Flora, amica della protagonista e assidua frequentatrice (anche dopo la morte) della libreria dove lei lavora. Il negozio di Tookie mi ha ricordato il Brokeland Records del romanzo di Michel Chabon (“Telegraph Avenue”), quel piccolo mondo antico di vinili che resiste alla grande distribuzione dei nuovi tempi e dove gli abitanti del quartiere si ritrovano per scambiarsi ricordi e conversare del più e del meno. “In ‘The Sentence’ i libri sono una questione di vita e di morte e i lettori esplorano regni insondabili per conservare un legame con la parola scritta”, spiega l’autrice nei ringraziamenti finali di questo bel compendio di umanità e di nostalgia. Sì, “The Sentence” è un romanzo d’amore.
Angelo Cennamo